L’attesa, un tempo ‘vivo’

Senigallia (AN) 2013

Roberta  Caniglia
Assistente Sociale Pro Icyc – sede di Roma

Nell’ accezione comune si usa spesso l’espressione “ingannare l’attesa” rimandando ad una percezione passiva della stessa, caratterizzata da staticità, dove anche l’uso dei verbi è emblematico: si parla sempre al futuro, come se il presente non avesse alcun significato se non in funzione dell’obiettivo da raggiungere, l’oggetto, appunto della nostra attesa. In quest’ottica quantitativa le domande associate all’attesa sono: attesa di chi? di che cosa? per quanto tempo? Invece, la mia proposta è quella di spostarci in un’ ottica qualitativa, chiedendoci: come passare questo tempo? In che modo? Con quali azioni? E sono sicura che cambiando ‘lenti visive’, modificheremo anche la prospettiva, invertendo questa tendenza critica. Infatti, in questo modo possiamo riappropriarci in maniera significativa del nostro presente, che quindi non è più un tempo perso, inutile e sterile, uno spazio vuoto da riempire freneticamente con diversivi solo per spostare il pensiero altrove. Ma bensì un tempo ‘vivo’, fertile, produttivo, una dimensione mentale in cui attivare un processo dinamico di elaborazione sulle risorse da potenziare e le criticità da contenere. Perché l’adozione è un percorso in cui la strada non è già data, i modi e i tempi di percorrenza sono del tutto soggettivi; la coppia deve formarsi e confrontarsi continuamente, in modo dinamico, acquisendo consapevolezza e capacità per fronteggiare momenti di stasi. Cerchiamo di sfruttare il periodo dell’attesa per attivare quelle risorse che saranno il fondamento della nuova famiglia rendendolo, realmente, un momento di vera crescita; perché dopo la proposta di abbinamento tutte le energie saranno impiegate (più o meno coscientemente) sull’incontro con il bambino, e quanto sarà utile allora aver lavorato d’anticipo, accumulando competenze!
Ma torniamo alla nostra attesa: questo momento rappresenta uno degli eventi più stressanti per la coppia per almeno 3 motivi: l’imprevedibilità della durata, l’incertezza sull’esito e la difficoltà a valutare le risorse, messe a dura prova dal percorso fatto finora.
Infatti, la maggior parte delle coppie adottive ha già sperimentato almeno una se non due attese fallimentari: una prima biologica, quando comincia a progettare di avere un figlio, ed è costretta a scontrarsi con le difficoltà riproduttive, con tutto il bagaglio di sofferenza, rabbia e frustrazione che questo comporta. Una seconda attesa in cui la coppia decide di affidarsi al mondo scientifico per soddisfare il proprio desiderio genitoriale, attraverso cure mediche lunghe e invasive, attivando ulteriori energie per una nuova sfida dall’esito incerto, con valenza anche sul piano etico e sociale. Con questa panoramica è evidente come la coppia che si approccia all’adozione abbia un carico di emozioni negative: rabbia/dolore per la mancata genitorialità, ansia/paura che il progetto non si realizzi, solitudine/impotenza perché il proprio appagamento dipende da scelte altrui.
E su questo ci siamo presi un momento di riflessione, in gergo parliamo di lutto generativo espressione forte ma l’analogia con la perdita di qualcuno che amiamo e la terribile sofferenza generata da questa mancanza ci permette di intuire la profondità della ferita inferta all’identità psicologica, corporea e sociale dell’individuo.
Ovviamente, la ‘cura’ di questa ferita/mancanza richiede un adeguato tempo di elaborazione per garantire un approccio di successo al progetto adottivo. In caso contrario non solo può creare problemi alla tenuta della relazione e minare la stima di sé, ma rischia di ripresentarsi come un boomerang nei momenti di crisi adattive che la famiglia, ciclicamente si troverà ad affrontare.
Infatti, la mancata elaborazione rischia di trasformarsi in una fantasia riparativa del bambino, la cui idealizzazione ne impedisce l’accettazione reale. E questo ci ha portato a ragionare direttamente sull’importanza delle motivazioni sottese all’adozione stessa.
Il cambiamento terminologico che va dalla domanda di adozione alla dichiarazione di disponibilità sottende una grande rilevanza etica: la prima mette al centro l’adulto e il suo bisogno da soddisfare (diritto ad avere un figlio), la seconda mette al centro il bambino e l’appagamento del suo diritto ad avere una famiglia, grazie a due adulti che mettono a sua disposizione se stessi e le proprie risorse. Ovviamente, questo cambiamento motivazionale verso l’accoglienza implica un lungo percorso individuale e di coppia affinché l’adozione non sia lo strumento per colmare un vuoto, bensì un’ opportunità per accettare un bambino, che non è più proiezione del proprio bisogno ma individuo con un’identità, un temperamento e una propria storia. Solo così l’adozione diventa davvero un dono reciproco di gratuità affettiva, libero da vincoli di riconoscenza che ne condizionano la buona riuscita.
Dopo aver affrontato le principali tematiche connesse con il periodo d’attesa, abbiamo ascoltato la testimonianza di una coppia, Pierluigi e Lidia, che ha condiviso in plenaria le proprie emozioni, evidenziando timori, ansie e difficoltà comuni. Quindi, abbiamo cercato d’individuare delle “strategie” per affrontare positivamente un momento così stressante, trasformandolo come dicevamo, in un tempo vivo. In primis, affinché la coppia possa attivare quel percorso dinamico di elaborazione interiore è indispensabile che abbia una corretta ed adeguata informazione/formazione su tutte le fasi e le procedure del percorso adottivo, con la massima chiarezza sulle tempistiche e su quei fattori che potrebbero incidere su eventuali ritardi.
Il bagaglio di conoscenze acquisite consente alla coppia di maturare quella che possiamo definire Consapevolezza Cognitiva, parte razionale e teorica del nostro percorso. Questa, affiancata da una perfetta comunicazione a vari livelli tra tutti i soggetti coinvolti: nel macro (C.A.I., Tribunale per i minori, Servizi Sociosanitari, Ente autorizzato) e nel micro (coppia, famiglia, contesto sociale) consente di creare uno spazio interiore in cui la coppia può elaborare i propri vissuti e sentimenti e acquisire la Consapevolezza Emotiva. Infatti, la capacità di esternare ed elaborare le proprie emozioni consente di definire un luogo di accoglienza dell’altro che non è solamente spazio materiale ma soprattutto mentale. In secondo luogo, il rapporto con gli operatori può rappresentare uno dei punti di protezione o di rischio dell’intero progetto adottivo, infatti, se riusciamo a costruire una relazione improntata sulla fiducia, la coppia sarà maggiormente collaborativa e predisposta a superare quell’atteggiamento difensivo di estrema disponibilità (funzionale a fornire un’ immagine perfetta di sé) implicito in un rapporto giudicante. Quindi, i professionisti devono attivare un vero e proprio contenimento emotivo attraverso un percorso di accompagnamento e sostegno costante, per consentire alla coppia di non arrivare troppo “provata” e demotivata all’incontro.
Infine, la difficoltà d’accesso alla genitorialità biologica determina una reale messa in discussione dell’immagine di sé che inevitabilmente porta a misurarsi con le rappresentazioni ad essa connesse. Per questo è necessario attivare: a) il confronto con l’immagine interna del proprio genitore, e quindi la rappresentazione di sé come genitore; b) il confronto con l’immagine di sé come figlio, (la rappresentazione di sé come bambino); c) la valutazione sulla qualità della relazione con il proprio partner come compagno e come futuro genitore. Questo lavoro evocativo ci consente di ricostruire la nostra vita e la nostra soggettività in modo costruttivo. Infatti, nello scoprire noi stessi e le molteplicità dei nostri Io (sia di quelli che abbiamo perso nel tempo che di quelli mantenuti) possiamo metterci in relazione con la storia di vita degli altri, cogliendo nella diversità delle esperienze l’importanza dell’individualità. Quindi, utilizziamo questo tempo d’attesa per creare un luogo interiore d’accoglienza dell’altro (portatore di una sua storia, con la sua unicità) in cui la famiglia adottiva idealmente si prepara a continuare il progetto che quella biologica, non ha potuto portare a compimento. Perché in fondo l’adozione altro non è che uno strumento attraverso il quale due mondi diversi si incontrano per diventare famiglia!