Diventare genitori adottivi

Giulianova (TE) 2011

L’INCONTRO E LA COSTRUZIONE DEL LEGAME DI APPARTENENZA

Marco Chistolini
Psicologo e psicoterapeuta, responsabile scientifico del CIAI

È noto che il rapporto tra genitori e figlio/i nell’adozione si deve costruire giorno dopo giorno, a partire dalle reciproche storie, aspettative, risorse e difficoltà. Diventare una famiglia, instaurare un legame di appartenenza, è, quindi, un processo che inizia nel momento in cui genitori e figlio/i, ciascuno nel proprio Paese, vengono informati di essere stati “abbinati”. A partire da questo momento, infatti, si attivano fantasie, desideri, timori che condizioneranno l’incontro e l’avvio della relazione. Pur essendo dell’avviso che l’incontro in Cile e le prime settimane di vita insieme, bene o male che vadano, non saranno mai decisive sul lungo periodo, è certamente vero che esse rappresentano degli step estremamente importanti nel processo di costruzione del rapporto di appartenenza tra la coppia ed il bambino. Può, quindi, essere utile mettere a fuoco quale “bagaglio” di pensieri ed emozioni caratterizza la grandi e piccolo durante l’incontro, ma anche nelle fasi precedenti e successive.

I futuri genitori

L’aspetto che caratterizza maggiormente i futuri genitori è senz’altro il desiderio di diventare padre e madre, desiderio che, come sappiamo, hanno spesso dovuto tenere a bada per moltissimo tempo. Questa motivazione, vero e proprio motore della scelta adottiva, si accompagna ad altri fattori importanti che potranno influire negli atteggiamenti e nelle emozioni che la coppia potrà provare. Tra i più importanti vale ricordare:
L’aspetto che caratterizza maggiormente i futuri genitori è senz’altro il desiderio di diventare padre e madre, desiderio che, come sappiamo, hanno spesso dovuto tenere a bada per moltissimo tempo. Questa motivazione, vero e proprio motore della scelta adottiva, si accompagna ad altri fattori importanti che potranno influire negli atteggiamenti e nelle emozioni che la coppia potrà provare. Tra i più importanti vale ricordare :

  • Le caratteristiche individuali dei due partner con le loro risorse ed i loro inevitabili limiti.
  • Il modo in cui è stata affrontata e superata la, eventuale, condizione di sterilità, quanto i coniugi sono riusciti a “fare pace” con questo limite e ad essere sufficientemente sereni, è senz’altro un elemento molto importante nel condizionare la relazione.
  • La storia personale di figli (relazioni sperimentale, modelli avuti, ecc.), che sappiamo essere molto significativa nell’influenzare il modo in cui ciascuno di noi interpreta, consapevolmente e inconsapevolmente, il proprio ruolo di genitore.
  • Le relazioni con le famiglie estese e con gli amici, relativamente alla qualità dei rapporti e al grado di sostegno ed aiuto ricevuto nel progetto adottivo.
  • Il rapporto di coppia, quanto riesce ad essere un fattore di sicurezza e gratificazione reciproca. A questo proposito va ricordato che l’arrivo di un figlio, anche biologico, determina sempre una rottura dell’equilibrio preesistente tra i coniugi e il fatto che uno dei due sarà maggiormente coinvolto nell’accudimento del bambino (di solito, ma non sempre, la mamma) con la possibilità che l’altro si senta escluso e provi sentimenti di gelosia. Inoltre, diventare genitori vuol dire, tra le altre cose, assumere decisioni condivise in ordine all’educazione del figlio, compito non sempre agevole, soprattutto quando il bambino non è un neonato e presenta comportamenti più complessi da comprendere e da gestire.
  • I timori sulle condizioni del bambino, sulla sua salute psico-fisica, sulle possibilità di recupero. Sono, questi, dubbi che hanno tutti i genitori in “attesa”, è chiaro che nell’adozione si caricano di significati maggiori, per la complessità del passato che il bambino ha vissuto.
  • I timori sul reciproco gradimento, su quanto il bambino risponderà alle proprie aspettative, ma anche i dubbi sulla capacità di essere all’altezza del compito e di essere accettati e amati dal figlio.

Il bambino in attesa

Naturalmente anche il bambino porta dentro di sé pensieri e sentimenti importanti che lo influenzeranno significativamente nel modo in cui avvierà la sua relazione con i futuri genitori. È ragionevole pensare che proverà sentimenti contrastanti, sentendo gioia per la prospettiva di avere qualcuno che si occupi di lui e, volendogli bene, lo faccia sentire «speciale» e i timori relativi alle caratteristiche dei nuovi genitori: saranno buoni/cattivi, comprensivi/rigidi, belli/brutti, giovani/vecchi, ecc.? A questi timori si aggiunge spesso la paura di non piacere, di deludere le aspettative del papà e della mamma ed essere nuovamente rifiutato. Inoltre, può accadere che vi sia un comprensibile dispiacere causato dal fatto di dover lasciare persone e luoghi conosciuti e amati (familiari, compagni, educatrici, istituto, ecc.).

La costruzione della relazione

A partire dai reciproci “bagagli” genitori e bambino hanno il «compito» di costruire una buona relazione di appartenenza, reciprocamente gratificante (offrire cure e protezione/sentirsi amati protetti). Chiaramente questa relazione di attaccamento, che solitamente s’instaura tra due adulti ed un neonato, ed è fortemente regolata da meccanismi innati, si complica quando il figlio è un bambino già “grandicello” ed ha una storia faticosa alle spalle. Il compito dei genitori è «leggere» le comunicazioni del figlio, dando loro un corretto significato e calibrando il loro comportamento di conseguenza, tenendo conto che le esperienze precedentemente fatte dal piccolo influenzeranno il suo modo di rapportarsi e di reagire alle proposte degli adulti. A questo proposito sappiamo che i bambini apprendono diverse strategie (stili di attaccamento), più o meno funzionali, per stare in relazione con gli adulti. Schematicamente possiamo avere:

  • Il bambino «soldatino», che cerca in tutti i modi di compiacere i genitori facendo quello che loro si aspettano da lui.
  • Il bambino oppositivo/aggressivo, che anticipa il temuto rifiuto con una strategia di “attacco” che lo fa sentire più sicuro dandogli la sensazione di controllare la relazione.
  • Il bambino “appiccicoso” che fa continue richieste di attenzione, a volte in modo adeguato, altre in maniera molto disturbante, perché ha continuamente bisogno di essere rassicurato sull’interesse dell’adulto nei suoi confronti.
  • Il bambino «autonomo», che ha imparato a fare a meno degli adulti e a cavarsela da solo.
  • Il bambino che sa «sintonizzarsi», che ha risorse e disponibilità per investire in una nuova relazione affettivamente significativa.

È importante sottolineare che tutte queste tipologie, o altre ancora, possono nel tempo modificarsi, attraverso le nuove relazioni che il figlio sperimenta nella famiglia adottiva, per questo è sempre molto importante chiedersi, al di là dei suoi comportamenti che cosa si muove dentro di lui, avendo fiducia che i problemi esistenti possono progressivamente essere superati.
Inoltre, i genitori dovranno avere particolare attenzione a tenere aperto il dialogo sull’essere «adottivi», incoraggiando il bambino a confrontarsi con la sua storia, in modo autentico e approfondito, in quanto sappiamo che poter comprendere il proprio passato ed esprimere le emozioni ad esso connesse, costituisce una variabile essenziale nel rendere possibile l’investimento in nuove relazioni affettivamente significative. Naturalmente, questo processo di costruzione di un rapporto di fiducia e familiarità, richiede tempo e quindi, consapevoli degli enormi cambiamenti che il bambino sta affrontando, i genitori dovranno avere molta pazienza nel proporgli di acquisire nuove condotte di vita e di comportamento, dosando adeguatamente fermezza e flessibilità. Qualora l’adozione riguardasse fratrie di due o più bambini, è evidente che le dinamiche relazionali sopra descritte si fanno più complesse. In particolare, tra gli aspetti da considerare vi sono:

  • Il rapporto esistente tra i bambini.
  • Le differenze e l’equilibrio che i genitori devono instaurare nella relazione con i figli.
  • Il tempo e le energie da dedicare

La permanenza in Cile

Stare per un certo periodo nel Paese in cui il bambino è nato costituisce una utilissima opportunità per conoscere e familiarizzare con il contesto e la cultura in cui è cresciuto. Si tratta di utilizzare al meglio questa preziosa occasione per appropriarsi di elementi concreti sulla sua vita che potranno poi essere condivisi con il figlio/i. Durante la permanenza sarà, infatti, possibile attivarsi per conoscere meglio la storia del bambino, non necessariamente nel senso di avere più informazioni sul suo conto, ma anche soltanto per comprendere in modo più approfondito il contesto culturale ed esperienziale da cui proviene. Inoltre, il viaggio consente di:

  • Conoscere il Cile, per aiutarlo a conservare un legame affettivo con il suo Paese di nascita, senza che ciò significhi non diventare italiani per rimanere cileni.
  • Fare esperienze condivise con il figlio, che poi potranno essere ricordate una volta in Italia.
  • Reperire oggetti significativi, che costituiscano testimonianze del passato, utili a ricordare le origini del bambino.
  • Produrre documentazione (foto, video, ecc.), anch’essi elementi importanti per mantenere vivi i ricordi e garantire un senso di continuità interna nel piccolo.

L’aspetto che deve essere sottolineato è relativo all’importanza che i genitori adottivi costruiscano una relazione di affetto e appartenenza con il Cile, trasmettendo al bambino l’idea che come egli attraverso l’adozione diventa italiano, loro sono diventati un po’ cileni. In questo modo la diversa origine etnica del figlio da essere un elemento che lo differenzia dai genitori può diventare un fattore di vicinanza e di appartenenza comune.

L’evoluzione della relazione nel tempo

Ovviamente anche nell’adozione, come in tutti gli altri rapporti, gli equilibri raggiunti sono destinati a rompersi e a modificarsi nel tempo. I genitori ed i figli adottivi devono sapere che l’adozione è un’esperienza esistenziale che non finisce mai e che “colora”, in modo più o meno rilevante, le varie tappe della vita (adolescenza, vita adulta, transizione alla genitorialità, ecc.), ri-presentando temi peculiari, vecchie e nuovi che devono essere accolti e gestiti. In questo processo un fattore molto importante per contribuire ad un’evoluzione positiva dell’esperienza adottiva è la convinzione che i genitori devono avere interiorizzato di essere a tutti gli effetti padre e madre di quel bambino, pur non avendolo generato. Infatti, le fisiologiche dinamiche relazionali che caratterizzeranno le convivenza familiare, con gli avvicinamenti e gli allontanamenti, la complicità e le incomprensioni, l’affetto e la conflittualità, non devono indurre a pensare che l’appartenenza reciproca sia messa in discussione nella consapevolezza che la “riuscita” dell’adozione si verifica sulla lunga distanza.