Identità integrata

AIUTIAMOLI A COSTRUIRLA

Roberta Caniglia
Assistente Sociale, operatrice dell’ente Famiglie Adottive pro Icyc

Il racconto della storia all’adottato è uno degli argomenti più ricorrenti in tutto il percorso adottivo, sia per le coppie aspiranti (all’inizio di quest’iter), sia per quelle in attesa di abbinamento, che per quelle storiche che sempre più spesso lo presentano negli incontri di sostegno e monitoraggio del post-adozione.
Il tema delle origini è fortemente intrecciato con quello dell’identità, e nel percorso evolutivo l’adottato è costantemente impegnato a fare una sintesi tra passato e futuro, cercando d’integrare nel presente quelle parti di sé che sono state lasciate nel passato. Possiamo dire che il compito più importante per l’adottato è, forse, proprio la costruzione di un sé stabile, sicuro, coerente e ben integrato. La vecchia impostazione del modello adottivo faceva perno sulla sostituzione non solo fisica ma anche mentale dei genitori biologici: una volta conclusa le pratica legale veniva tenuta segreta l’identità della famiglia e tutte le informazioni relative al passato del bambino, con una scissione netta tra il prima e il dopo, tra genitori biologici e quelli adottivi.
Nella concezione attuale, la continuità è diventata un valore primario, fondamentale per recuperare la storia del bambino, aiutarlo a mettere insieme i pezzi della sua vita, sostenendolo nel processo d’integrazione tra passato e presente, garantendo così il suo diritto all’identità.
Sulla base della correlazione tra identità e tema delle origini possiamo dire che è di primaria importanza per il benessere psico-fisico del bambino la creazione di un dialogo familiare aperto, dove, attraverso la narrazione, sia possibile trasformare la storia avversa del minore in informazioni supportive per l’autostima e una crescita equilibrata. Il primo passo consiste nella ricostruzione della storia del bambino, che sarà parte attiva sia in termini di contenuti che nel definire i tempi emotivi del racconto, affinché questa divenga a tutti gli effetti una narrazione emotiva, finalizzata a dare forma e ad esprimere sentimenti di dolore e di rabbia che inevitabilmente accompagnano un percorso elaborativo. Ovviamente, per raggiungere quest’obiettivo dobbiamo chiederci quali siano gli elementi costitutivi del racconto che possono essere individuati in: fonti esterne al bambino, che rappresentano i dati oggettivi (le informazioni), e fonti interne che rappresentano la sua soggettività nel racconto (i ricordi e le rappresentazioni di sé e delle figure di attaccamento).
Per quanto riguarda le prime ovviamente il racconto deve basarsi sulla verità, senza omettere dettagli che anzi saranno utilissimi per collegare ciò che sente il bambino, i suoi comportamenti attuali alle esperienze reali che ha vissuto e alle strategie adattive che ha sviluppato conseguentemente. Quindi, è fondamentale chiedere e ottenere, da chi ha la responsabilità del collocamento, tutte le informazioni possibili sulla storia del bambino.
I ricordi rappresentano un importante contributo che il bambino può fornire al processo di costruzione del racconto. A tale proposito però è importante sottolineare come nei bambini che hanno vissuto eventi traumatici (maltrattamenti, abusi, abbandoni) i ricordi possono non essere completi e dettagliati soprattutto se i traumi sono stati ripetuti e prolungati nel tempo.
Tuttavia, il benessere e l’affettività sperimentati dopo il collocamento adottivo riescono a creare un terreno fertile per il recupero dei ricordi: la mente si libera dalle forti emozioni che avevano bloccato la memoria e finalmente i ricordi possono riemergere. Quindi, nel processo di narrazione del racconto non solo i ricordi del bambino vengono usati per imbastire la trama, ma lo sviluppo stesso del racconto, in un processo circolare, consente di attivare e sollecitare i ricordi persi o rimossi. È proprio la stabilità affettiva a creare i fondamenti per l’esplorazione dell’ambiente esterno e l’utilizzo di quelle capacità cognitive (percezione, linguaggio, memoria) prima bloccate dalla necessità di doversi preoccupare per la propria sopravvivenza e che finalmente consentono di elaborare la propria storia. La creazione di una ‘base sicura’ genitoriale, capace di offrire cure continuative e costanti, può portare ad una vera e propria revisione dei modelli operativi interni, delle rappresentazioni mentali di sé e della figura di attaccamento, rielaborando, così, le esperienze passate e superando l’immagine di sé come non degno d’amore. Infatti, una ricostruzione attenta ad un attribuzione di significati non colpevolizzante assolve ad un’ importante funzione protettiva rispetto alle conseguenze dei traumi vissuti. Per questo il racconto della propria biografia può portare ad un cambiamento reale, attraverso la possibilità di riconoscere dentro di sé e soprattutto di esprimere quelle emozioni di disperazione e rabbia soppresse, e a legittimare il proprio bisogno di essere confortato e la propria paura a rendersi vulnerabile a causa dell’imprevedibilità di cure sperimentate. In questa fase è possibile aiutare il figlio ad attribuire i comportamenti delle figure allevanti non ad una loro maligna intenzione di nuocere ma a motivazioni precise come le condizioni di vita e soprattutto, le modalità relazionali con cui sono stati a loro volta accuditi; eventualmente mostrando per differenza ciò che vi distingue da loro. Quest’approccio consente di recuperare un’ immagine né positiva né negativa dei genitori biologici, ma profondamente umana, e quindi una rappresentazione di sé come amabile e vittima delle circostanze avverse.
In questo modo sarà possibile proteggere il minore dalla naturale visione egocentrica dei bambini di auto-riferire a sé stessi o a propri comportamenti tutto quello che accade all’esterno.
Ovviamente, per poter assolvere a questo compito complesso è fondamentale che i genitori siano preparati a spiegare attraverso quale percorso relazionale viene acquisita la competenza genitoriale, ad esempio utilizzando la propria esperienza e la propria storia, raccontando al bambino grazie a quali incontri relazionali (e modelli di attaccamento sperimentati) essi stessi hanno potuto acquisire la capacità di essere genitori sufficientemente buoni. Per quanto riguarda la terza fonte del racconto, le rappresentazioni di sé e della figura di attaccamento, questa rappresenta un valido contributo alla costruzione della trama, andando ad integrare informazioni e ricordi. Si tratta di dar modo ai bambini di mostrare le aspettative che hanno sviluppato sulle figure di attaccamento, sulla percezione dei ruoli familiari e gli stili di relazione con le figure di riferimento passate (es. giochi narrativi spontanei, simulazioni, disegni). Il processo elaborativo, quindi, implica tre stadi distinti: il primo consiste nel diventare consapevoli dei modi in cui i sentimenti e il comportamento attuali sono dettati dall’esperienza passata; il secondo consiste nella protesta per la perdita a cui si è stati sottoposti con una forte rabbia verso il genitore biologico che ha abbandonato; il terzo consiste nel riappacificarsi con il passato, diventare coscienti che non è possibile sfuggire alla sua influenza modellante, rendendosi conto che i genitori biologici sono stati a loro volta il prodotto della loro storia personale. Per concludere, l’esplorazione della storia adottiva è un processo lungo e faticoso che dura tutta la vita, un percorso a spirale scandito da un tempo soggettivo che porterà in alcuni momenti a volersi confrontare maggiormente con le proprie origini ed in altri a manifestare più reticenza e inibizione, in base alle diverse fasi di crescita, alle capacità cognitive ed emotive e alla consapevolezza raggiunta. L’invito che rivolgo a voi, carissimi, è proprio quello di creare un luogo di accoglienza interiore dell’altro, portatore di una sua storia, in cui i genitori adottivi, idealmente, possano continuare il progetto che quelli biologici non hanno potuto portare a compimento: solo così possiamo creare le basi per costruire quella storia condivisa che sarà la memoria della nuova famiglia.. d’altro canto amici: la storia siamo noi!